martedì 24 giugno 2014

Venezuela: nell'attesa di un leader

Graffiti, Caracas (Luca Marfé Photo)














PUBBLICHIAMO un intervento sulla situazione attuale in Venezuela da parte della giornalista venezuelana Angélica Maria Velazco Jaimes - @angelicavelazco

Una signora di 53 anni è stata "da tutta una vita" una seguace di Hugo Chávez e del suo progetto politico di sinistra. Adesso non è più tanto convinta della situazione attuale: è consapevole della crescente insicurezza, della scarsità di alcuni prodotti e del possibile crollo dell'economia. Nonostante ciò, commenta che in caso ci fossero in questo momento le elezioni per scegliere un nuovo Presidente e si presentassero delle figure come Enrique Capriles, Leopoldo López o María Corina Machado, lei voterebbe un'altra volta per Maduro perché non si identifica con nessuno degli altri. Sono le contraddizioni del sistema, come direbbe lo stesso Marx nel suo famoso "Il Capitale".

Dopo più di tre mesi di proteste contro il governo di Nicolás Maduro e un bilancio di 42 morti, più di 1.800 incarcerati, innumerevoli feriti e alcune città messe sottosopra, il  panorama è triste: non c'è ancora nessun cambiamento tangibile. Vi sono soltanto alcuni tentativi di pace e di dialogo che però rimangono inconcludenti. Il problema è facilmente collegabile con la mancanza di una figura forte che possa raccogliere il meglio di entrambi gli schieramenti per aggruppare attorno a sé tutti gli insoddisfatti che si trovano in mezzo a una polarizzazione ancora più marcata. Cos'è successo alla crisi dei leader in Venezuela dopo la morte di Hugo Chávez?

Nessuno, sia il PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) che la MUD (Mesa de la Unidad Democrática) offre una informazione oggettiva, adatta a risolvere i problemi che toccano la porta di tutte le case, ogni giorno e senza distinzione alcuna. Sembra che le figure politiche navighino alla deriva cogliendo delle idee in aria per ripetere, come i pappagalli, parole che nascono dalla testa di alcuni notabili: «Tutto è colpa dell'impero statunitense» dicono da un lato, mentre che dall'altro «il governo e l'eredità lasciati da Chávez sono la peggior cosa che sia mai esistita».

Secondo uno dei padri della sociologia, Max Weber, esistono tre tipi di leadership: legale, tradizionale e carismatica. La prima tipologia si adegua ai tempi attuali, identifica delle capacità e delle competenze che non lasciano spazio alla componente emozionale o affettiva; allo stesso tempo questa persona deve essere pragmatica, risoluta e avere la capacità di lavorare con gli altri. Il leader tradizionale invece rappresenta un simbolo ed ogni volta è più debole, come nel caso delle monarchie: anche se rimangono culturalmente dei simboli importanti, dal punto di vista politico hanno un potere ridotto. Il terzo è il tipo carismatico: la persona viene considerata superiore agli altri. Quest'ultimo è il più primitivo, basato sul personalismo, l'autoritarismo e l'emotività superiori alle capacità; esempi ne sono Mussolini in Italia, Hitler in Germania e Chávez in Venezuela.

Sembra che ai venezuelani siano sempre piaciute personalità appartenenti al terzo gruppo. Questo popolo è caratterizzato dalla voglia di un leader "con i pantaloni", "che arrivi a mettere tutto in ordine", "con carattere", "che sia come me", come dice la gente per le strade. Così persone come il Generale Ángel Vivas cominciano ad essere ammirate, senza ricordare che anche Chávez ha cominciato sostanzialmente nella stessa maniera. Riportando ancora più indietro la Storia ritroviamo altri leader populisti e di "carattere" di un Venezuela che sembra amare in fondo lo stivale militare. Per capire bene, e non ripetere la stessa storia piena di sbagli, si deve essere consapevoli che la leadership venezuelano è stato sempre il prodotto delle gaffe dei regimi precedenti che non prendevano in considerazione la volontà popolare al momento delle decisioni. Questo è stato il caso di Chávez, che senza dubbio è stato un leader diverso, con un discorso populista e un marketing politico senza precedenti. Tuttavia questa figura ha indebolito le altre a tal punto che la gente non trova nessun'altra personalità capace di guidare il gigante petrolifero. Dopo di lui, su di chi può contare il Venezuela?

Alcuni anni fa si parlava di avere un Chávez di opposizione, o di un militare con capacità. Quasi mai si parla di una leadership rinnovato e moderno; semplicemente si riduce tutto a "questo mi è simpatico" ma "quell'altro no".

Oggigiorno il Venezuela conta con una Mesa Dell'Unità (MUD) frammentata. Da ogni angolo si presentano alcuni esperimenti di leader di opposizione che lanciano messaggi contrastanti: un messaggio oggi ma un altro diverso domani. Come diceva Enrique Capriles: «Ci sono compagni dell'opposizione che cercano di farsi vedere più di altri, ma quello che devono fare è guidare il popolo affinché il Paese possa trovare una via di uscita reale e costituzionale». Ecco una MUD che di unità non ha nulla, un Leopoldo López in carcere e una María Corina che parla, a volte, nelle piazze.

Dall'altro lato, c'è un Presidente senza carisma e tempra, che cerca invano di emulare il suo predecessore, provocando un sentimento avverso nella stessa popolazione chavista. Quelli che sono al potere manifestano la voglia di continuare con il progetto iniziato da Chávez, ma sembra che il debole leader non sappia come fare. Come riportavano pochi messi fa le dichiarazioni di Diosdado Cabello, il presidente dell'Asamblea Nacional: «[l'opposizione] dovette pregare molto perché Chávez rimanesse in vita. Perché lui era il terrapieno di molte delle idee folli che ci vengono in mente». Il risultato: tutti, sia governo che opposizione, parlano molto ma non dicono nulla.

Nelle parole dei protagonisti dei conflitti attuali, gli studenti, Marco, un universitario di 22 anni commenta: «Il tema dei leader in Venezuela è complicato. Maduro è una persona incapace e incompetente la cui unica conquista è imitare al suo leader defunto Hugo Chávez. Non abbiamo fiducia nei partiti politici di opposizione. Leopoldo e María Corina, nonostante l'incarceramento del primo, non hanno saputo entrare ancora nel cuore del popolo».

L'economista, professore universitario ed opinionista Luis Vicente León lo spiega bene nel suo articolo "Las guarimbas y el barranco": «Quelle persone [i protestanti] vogliono canalizzare la loro energia nella ricerca di una soluzione, ma non hanno trovato nulla e nessuno che gliela offra in maniera razionale e strutturata. Quindi esplodono. Ma lo fanno senza avere un piano né un obiettivo concreto, né un'articolazione formale (...). E non è la loro colpa non sapere come esprimersi efficacemente. La colpa, o almeno una grande parte di questa, è di una leadership perduta, divisa, disarticolata e incapace di guidare questa energia e collegarla con strade creative, articolate e più sofisticate del lanciare le pietre o bruciare l'immondizia vicino a casa loro che, inoltre, non è la strada del destinatario della protesta».

E così si fa tutto in Venezuela, senza un orizzonte fisso al quale aspirare. Mancano delle idee chiare. Sembra che questo Paese sia indeciso nella scelta tra due tipi di pena di morte, ma alla fine vi è la morte certa perché non arriva l'avvocato in tempo per salvarlo.

La ragione principale dell'esistenza e utilità dei leader è che questi aiutano a produrre i cambiamenti necessari di una società. In La Repubblica, Platone parla di un nuovo sistema di governo che deve cercare la felicità degli individui e non dei burocrati e dei guardiani. E questo è proprio il problema in Venezuela, dove purtroppo i leader semplicemente cercano la felicità (tradotta in denaro) soltanto per quelli che li stanno vicini sotto la stessa coperta del potere. In questo senso, il Paese petrolifero non ha bisogno soltanto di un leader ma anche di un cambiamento di mentalità. Il vero leader politico deve motivare invece di manipolare. È la differenza che stabiliva lo storico Andrew Roberts quando analizzava le diversità tra Hitler e Churchill. Roberts racconta che quando la gente finiva di parlare con il primo pensava che quell'uomo era capace di fare qualsiasi cosa, ma quando parlavano con Churchill credevano che erano loro stessi capaci di fare qualsiasi cosa. È la discrepanza fra una leader democratico che crede nelle capacità della gente e uno autocratico che aspira ad accentrare il potere.

Il professore Guilio Santosuoso lo diceva nel suo scritto quasi profetico del 1992 "Reinventar a Venezuela": «La società ha bisogno di un cambiamento che è tanto evidente negli ultimi anni, da non essere necessario discuterne. L'interrogativo che è sempre rimasto senza risposte, fino adesso, è chi condurrà questo processo».

Mentre non esiste una figura con delle idee nuove, non contaminate, senza tanta fame di potere, è più importante che il popolo venezuelano ricordi gli errori della storia, se non vuole continuare a vivere in un anarchia non dichiarata. Abbiamo bisogno di un leader più maturo di quelli che abbiamo avuto prima in grado di condurre la grande petroliera verso un porto sicuro.

Articolo precedentemente pubblicato su Equilibri.net

domenica 8 giugno 2014

Il deal energetico Russia-Cina e le implicazioni per Pechino

Il 21 MAGGIO SCORSO la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese hanno siglato uno storico accordo energetico. I termini dell'accordo e gli effetti sulla politica energetica di Pechino.

I termini dell'accordo

Mercoledì 21 maggio i rappresentanti di Gazprom e Cnpc, sotto la supervisione dei rispettivi governi, hanno firmato a Shanghai l'accordo che permetterà alla Russia di aprirsi al mercato energetico cinese e alla Repubblica Popolare di assicurarsi approvvigionamenti sicuri per i prossimi 30 anni.

Le parti non hanno divulgato i termini commerciali dell'accordo, tuttavia alcuni dati sono di dominio pubblico. L'accordo entrerà in vigore nel 2018 e avrà durata trentennale. Mosca si impegnerà a rifornire Pechino con 38 miliardi di metri cubi di gas naturale attraverso la costruzione in territorio cinese di tratte di collegamento del gasdotto transiberiano “Forza della Siberia”. Costo previsto: dai 22 ai 30 miliardi di dollari. L'intesa economica sarebbe stata raggiunta ad un prezzo compreso tra i 350 e 360 dollari per mille metri cubi, vicino alle richieste cinesi e lontano dai $380,5 strappati da Mosca ai Paesi dell'Europa Occidentale. Il prezzo più basso ottenuto da Pechino sarebbe però compensato dall'impegno finanziario cinese nella costruzione dei nuovi gasdotti.

La stretta finale

L'accordo, il cui valore totale è stimato in 400 miliardi di dollari, chiude un ciclo di negoziazioni durato oltre dieci anni, con i primi contatti avviati sul finire degli anni Novanta.

E' probabile che l'accelerazione alla finalizzazione del deal, avvenuta negli ultimi mesi, sia stata provocata da due fattori. Da un lato la crisi ucraina, con la conseguente instabilità geopolitica e la minaccia di sanzioni mirate al settore energetico russo per parte occidentale - favorendo peraltro la posizione negoziale cinese. Dall'altro, il persistere della crisi economica in Europa. Basti osservare le proiezioni statistiche del Fondo Monetario Internazionale sulle stime di crescita del PIL dell'area Euro e della Cina nei prossimi 5 anni per capire come la Russia avesse necessità di finalizzare: l'area Euro non si avvicina al 2% di crescita media annua e manifesta una domanda energetica stagnante - se non in calo - mentre la Repubblica Popolare viaggia oltre il 6,5 percento. “38 miliardi di metri cubi sono solo l'inizio” - ha dichiarato Alexei Miller, Amministratore Delegato di Gazprom. L'intesa infatti prevede la possibilità di portare la fornitura a 60 miliardi di metri cubi sfruttando giacimenti della Siberia Centrale e Orientale diversi da quelli adoperati per rifornire gli oltre 161 miliardi di metri cubi destinati al mercato europeo.

Le implicazioni per Pechino

L'accordo è funzionale agli interessi energetici cinesi per 3 motivi.

In primo luogo, consente di incrementare la sicurezza sugli approvvigionamenti energetici. La US Energy Information Administration (EIA) stima che nel 2014 Pechino diventerà il maggior importatore netto di petrolio, superando gli USA, e sarà responsabile per un terzo dell'incremento del suo consumo a livello mondiale. Anche l'utilizzo di gas naturale, benché contribuisca solo al 4% del fabbisogno aggregato nazionale, è in aumento considerevole e passa necessariamente attraverso le importazioni. In questo senso il gas russo, in grado di coprire circa il 10% del fabbisogno di gas naturale nazionale previsto per il 2020, diviene una ipoteca sull'aumento della domanda energetica.

In secondo luogo, l'accordo consolida una nuova rotta energetica - quella di nordest – inaugurata nel 2011 con l'inizio della costruzione dell'oleodotto di importazione Mohe-Daqing (forniture di 30 milioni di tonnellate l'anno). La nuova rotta va ad aggiungersi alle tratte di nordovest (Turkmenistan-Kazakistan) e alle rotte di sudest (Myanmar) e sudovest (Stretto di Malacca), aree queste ultime dove persistono tensioni geopolitiche latenti che accrescono il rischio di instabilità politica. Pechino quindi diversifica le opzioni di offerta e diminuisce la dipendenza da un singolo fornitore.

In terzo luogo, il gas russo andrà a ridurre la dipendenza dal carbone, di cui la Cina è primo consumatore mondiale e del quale si serve per quasi il 70% del suo fabbisogno. L'obiettivo del Governo è limitare l'inquinamento ambientale attraverso una graduale riduzione del numero di centrali a carbone, la messa in sicurezza di quelle operative, la bonifica delle aree contaminate e l'intensificazione del processo di diversificazione delle fonti. Il dodicesimo piano quinquennale (2011-2015) stabilisce il raggiungimento del 15% del fabbisogno energetico primario proveniente da fonti non fossili entro il 2020. Sempre entro lo stesso anno il Paese dovrà poter contare su forniture annue di gas naturale pari a 420 miliardi di metri cubi.

Conclusioni

L'intesa energetica raggiunta porterà ad una intensificazione delle relazioni economico-commerciali, con l'obiettivo dichiarato dai Presidenti Vladimir Putin e Xi Jinping di raddoppiare in dieci anni il valore dell'interscambio bilaterale (oggi 90 miliardi di dollari). Non solo: l'accordo certifica la volontà di accelerare il processo di normalizzazione dei rapporti politici comportando una riconfigurazione dei rapporti di potenza nella macro-regione asiatica.

Articolo pubblicato su AgiEnergia