venerdì 27 dicembre 2013

I fatti più importanti del 2013


Pope Francis, Time Person of the Year 2013
 

VOLETE passare in rassegna i fatti più rilevanti del 2013? Vi consiglio questa timeline interattiva di Al Jazeera English. Potete far scorrere gli eventi mese su mese, approfondire la singola notizia o avere una panoramica generale. Cliccate sul link qui sotto, buona visione!


Source: Al Jazeera






La Cina e gli aiuti allo sviluppo: intervista a Stephen Chan

Professor Stephen Chan

RIPUBBLICHIAMO una intervista concessaci da Stephen Chan, docente di Relazioni Internazionali alla School of Oriental and African Studies di Londra. Il Professor Chan è un esperto di Cina, in particolar modo delle relazioni tra la Cina ed il continente africano. Con lui abbiamo discusso del modello di aiuti allo sviluppo intrapreso da Pechino.

Quando la Cina ha iniziato ad intraprendere politiche di aiuto allo sviluppo?

La Cina iniziò ad aiutare Paesi del terzo mondo a seguito della Conferenza afro-asiatica di Bandung, nel 1955. Nel 1956 Pechino accordò il primo enorme prestito al continente africano, segnatamente all'Egitto. Non si è più fermata da allora, benché i suoi obiettivi siano cambitati. Nei primi tre decenni, dietro agli aiuti vi erano motivazioni derivanti dalla Guerra fredda, ma ora gli impulsi muovono dall'intento di consolidare un alto livello di interazione economica per il futuro, con in mente sia il proprio sviluppo economico che quello africano.

In cosa si differenzia il modello di cooperazione allo sviluppo cinese rispetto a quello adottato dai Paesi occindentali?

Esso prevede tre caratteristiche principali. Anzitutto, è libero da condizionamenti di qualsiasi natura, intesi in ogni senso e soprattutto nel senso dell'imposizione di requisiti ad agire in determinate modalità politiche. In secondo luogo, si caratterizza per l'uso dell'ingegneria civile e delle infrastrutture: i cinesi sono fenomenali nella costruzione di strade e ponti. Infine, i progetti di ingegneria civile prevedono spesso un pacchetto "Total Chinese": qualsiasi cosa, inclusa la forza lavoro, viene portata dalla Cina, e tutti lavorano con gli standard cinesi. Ciò porta all'isolamento e alla mancanza di trasferimento di tecnologia, ma i progetti vengono completati a velocità impressionanti e con pochissima "dispersione" di denaro.

Pechino usa gli aiuti allo sviluppo come parte della propria strategia di politica estera?

Certamente, ma così fanno tutti gli Stati. Farsi degli amici è sempre stato uno degli obiettivi fondamentali dei cinesi: lo vediamo con l'attuale configurazione globale in mutamento, ad esempio l'avvento del G20, il sogno cinese di essere alla testa di un nuova massa politica globale che prenderà il posto delle potenze occidentali.

Quali sono le regioni o Paesi che la Cina aiuta maggiormente?

La maggior parte degli investimenti diretti esteri  cinesi raggiungono l'Africa, ma la maggior parte del commercio avviene con l'Occidente: le linee guida di Pechino devono tenere in considerazione strategie multiple e conseguenze inaspettate.

Lei conviene con chi sostiene che il sistema di aiuti allo sviluppo cinese ha dimostrato di essere più efficiente di quello dei Paesi occidentali?

Ciò dipende da quale prospettiva esso viene giudicato. Da un lato, possiamo chiaramente vedere il marchio cinese: la costruzione di impressionanti quantità di stadi da calcio e teatri significa che quando ricchi e poveri vanno ad assistere ad una partita di calcio o ad un concerto di musica classica sono seduti su qualcosa realizzato dai cinesi. Dall'altro, non ho dubbi sul fatto che le politiche di aiuti dei Paesi occidentali sono troppo legati a condizionamenti di diversa natura. Ci siamo tagliati la gola da soli. In definitiva, il beneficio principale derivante dagli aiuti cinesi risiede nel fatto che ora l'Africa può scegliere - sia l'opzione occidentale che quella cinese. Questo è il vero valore aggiunto ad uso dei policy makers africani.

Articolo originale pubblicato da Equilibri.net

L'utilità del G8

Il G8 Summit di L'Aquila, luglio 2009


















POCHI GIORNI FA a Londra si è riunito il G8 per affrontare il tema della demenza, una malattia che colpisce 44 milioni di persone nel mondo, destinate a raddoppiare ogni vent'anni. Gli 8 Paesi hanno concordato una strategia di azione comune punti riportata nel comunicato finale. Tra gli impegni presi vi è l'identificazione di una cura entro il 2025 che modifichi in maniera sostanziale il decorso della malattia.

Ora, questo vertice offre l'occasione per dibattere il tema della utilità o meno del G8. Quante volte abbiamo visto impegni presi poi non essere mantenuti? Quanti summit, incontri, quante strette di mano e foto di gruppo che appaiono nella sostanza inconcludenti?

Ricordiamoci di quanto innaturale sia, sotto il profilo delle relazioni internazionali, il periodo storico nel quale stiamo vivendo - soprattutto in Europa. La normalità, fino alla Seconda guerra mondiale, è stata la guerra. I rapporti tra gli Stati - all'epoca una sessantina - subivano frequenti altalene diplomatiche, le quali lasciavano ben poco spazio alle ragioni della pace.

Tra le due guerre si parlò di stagione della "sicurezza collettiva" quando la quasi totalità degli Stati ratificò il Trattato di Rinuncia alla Guerra, firmato a Parigi nel 1928. Una pace effimera, una illusione collettiva. Ma l'eccezionalità della pace, in un continente abituato alla guerra, si nota dal Premio Nobel per la Pace conferito ai Ministri degli Esteri di Francia e Stati Uniti, promotori del trattato: Aristide Briand e Frank B. Kellogg. Oggi, i 28 Stati membri dell'Unione Europea l'hanno raggiunta davvero la pace. Come? Attraverso il dialogo, grazie anche al G8.

Se il Gruppo degli 8 Paesi più industrializzati del mondo può risultare, a ragione, non rappresentativo degli equilibri di potere in fieri all’interno della odierna Comunità internazionale, diviene comunque adatto a produrre il dialogo, la benzina più importante per il corretto svolgimento delle relazioni internazionali. Non scordiamoci che è grazie alla ricerca del dialogo che nel 1957 sorsero le Comunità Europee; nel 1962 Kennedy e Kruchev evitarono una possibile terza guerra mondiale; Egitto ed Israele firmarono il Trattato di pace nel 1979; la Germania pervenne all'Unificazione nel 1990.

Che il G8 abbia perso il suo spirito informale e produca spesso risultati al di sotto delle aspettative è fuori dubbio. Ma queste due verità sono in parte spiegabili dalla globalizzazione del circuito mediatico. L'attenzione globale dei media ha infatti spinto i summit multilaterali verso un carattere sempre più formale, provocando l'irrigidimento delle posizioni negoziali di ognuna delle parti seduta al tavolo. Più l'incontro risalta sotto la luce dei riflettori, più i singoli Stati faticano a negoziare in maniera distesa. Non il summit stesso, bensì le opinioni pubbliche rischiano così di diventare l'oggetto delle preoccupazioni dei Capi di Stato, a tutto detrimento dei risultati finali del vertice. L'efficacia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, massimo organo politico a livello globale, viene garantita dal grado di riservatezza che serbano le sue riunioni di carattere non procedurale.

Il G8, il G20, l'ONU, l'Unione Europea stessa e gli altri fori multilaterali svolgono una funzione di importanza capitale: mantenere aperte le porte del dialogo. Non è scontato che gli Stati preferiscano la collaborazione alla aggressione; la ricerca del consenso alla corsa agli armamenti, la consultazione alla imposizione unilaterale. La Storia d'Europa è lì a dimostrarlo. Al G8, così come al G20, Stati storicamente divisi, Francia e Germania, Stati Uniti e Russia, Cina e Giappone siedono al medesimo tavolo ricercando soluzioni comuni a problemi comuni.

Approfondimenti


Comunicato finale G8 London

Articolo precedentemente pubblicato da International Business Times nel blog Going Global

mercoledì 25 dicembre 2013

La mecca edilizia del Golfo Persico snobbata dalle medie imprese italiane












MENTRE nelle pianure europee si costruisce sempre meno, nei deserti arabi il valore dei mega-progetti in corso di realizzazione supera gli 1,5 triliardi di dollari, a cui andranno ad aggiungersi altri 900 $ mld da qui al 2020.

Nel Golfo Persico, terra di forti contrasti e paradossi, nonostante il deserto è in atto un nuovo boom edilizio spinto dalle entrate derivanti da petrolio e gas naturale: isole artificiali, grattacieli senza fine, palazzetti del ghiaccio, nuovi aeroporti, autostrade, treni ad alta velocità e piattaforme logistiche di ultima generazione.

La spesa in conto capitale, cioè quel budget previsto dal bilancio statale per la realizzazione di investimenti, è in continua crescita nei Paesi del Golfo dal 2004 (Qatar National Bank). In particolare, il settore edilizio ha registrato ritmi di crescita del 5% annuo negli ultimi 5 anni.

In Arabia Saudita, Jeddah verrà dotata di una rete di linee metropolitane da oltre 9 miliardi di dollari e di una città ospedaliera comprendente tre ospedali, strutture sanitarie e centri residenziali per un valore di 3 miliardi di dollari. Mecca, la città santa, vedrà un’impressionante opera di rinnovamento e ampliamento urbanistico per la quale verranno spesi non meno di 20 miliardi di dollari.

Nel piccolo stato del Kuwait sono previste spese superiori ai 6 miliardi di dollari per l’ammodernamento dell’aeroporto di Kuwait City, portando i passeggeri dagli attuali 6 ai 13 milioni entro il 2016. Nell’area MENA sono quasi 121.000 le stanze di hotel in costruzione, di cui 10.000 solo a Dubai. Proprio l’emirato simbolo della nuova modernizzazione araba si è recentemente aggiudicato la competizione per l’Expo del 2020, una prima assoluta per il Medio Oriente.

Le grandi compagnie di costruzione italiane sono già presenti in loco con la gestione di progetti molto importanti (ad esempio, la costruzione della metro di Jeddah affidata a Salini Impregilo). Mancano invece all’appello le piccole e medie imprese, che ancora non hanno compreso la magnitudine delle opportunità presenti a Jeddah, Kuwait City, Doha o Riyadh.

Il momento è quello giusto per aprire pizzerie, gelaterie, vendere scarpe artigianali, offrire corsi di cucina, insomma portare il made in Italy in luoghi dove è apprezzato, richiesto e ben remunerato.

Articolo originariamente pubblicato su Formiche.net

domenica 22 dicembre 2013

Mandela e le relazioni internazionali

Nelson Mandela all'ONU


NON SOLO emblema della lotta contro l'apartheid, non solo esempio di moralità e senso delle istituzioni. Nelson Mandela durante la sua presidenza ha abbracciato la causa del multilateralismo aumentando il prestigio internazionale non solo del Sudafrica ma dell'intero Continente Nero.

Nel momento in cui il Sudafrica voltava pagina con la vittoria di Mandela alle elezioni presidenziali del 1994, il mondo a sua volta cambiava diventando sempre più globalizzato. Un altro dei meriti riconosciuti a Mandela fu quello di comprendere la portata del cambiamento e rendere il suo Paese membro attivo della Comunità internazionale.

Nell'arco del suo mandato presidenziale (1994-1999) il Sudafrica divenne membro dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, sostenne lo sviluppo regionale tramite la Comunità di sviluppo dell'Africa meridionale (SADC), si propose come partner di riferimento in Africa della neo-nata Unione Europea, di Stati Uniti e Giappone, iniziò un dialogo privilegiato con le democrazie più rappresentative del Cono sud, Brasile e India - trasformatosi successivamente nel forum trilaterale istituzionalizzato IBSA. Le parole pronunciate dallo stesso Mandela nel discorso alla Nazione del 1994 sono illuminanti:

"Il Governo si occuperà anche di tutti quelle questioni relative alla creazione di un clima attraente per gli investimenti a favore di investitori nazionali e stranieri, consapevoli del fatto che dobbiamo competere con il resto del mondo, in particolare nell'attrazione di investimenti diretti esteri.

Abbiamo già iniziato ad occuparci della politica commerciale, guidati dagli impegni presi in seno al GATT e dalla determinazione ad aprire in maniera sistematica l'economia alla competizione globale attraverso un processo gestito con estrema attenzione.

Inizieremo presto le negoziazioni commerciali con - tra gli altri - l'Unione Europea, gli Stati Uniti, i nostri partner dell'Unione Doganale dell'Africa Meridionale e con i nostri vicini della Comunità Comunità di sviluppo dell'Africa meridionale avendo in mente l'obiettivo di creare un quadro stabile e di mutuo beneficio per le nostre relazioni economiche internazionali.

Ci occuperemo molto attentamente anche dell'avanzamento della cooperazione Sud-Sud come parte dello sforzo per espandere i nostri legami economici con il resto del mondo" (traduzione non ufficiale)

Articolo pubblicato da International Business Times


domenica 15 dicembre 2013

Dieci punti sulla globalizzazione

Singapore, città simbolo della globalizzazione












RILEGGIAMO i dieci punti sulla globalizzazione evidenziati oltre 10 anni fa dal grande economista indiano e premio Nobel Amartya Sen, utili ad iniziare un dibattito serio e informato sull'ordine economico globale. I punti e i relativi commenti sono tratti dal libro Globalizzazione e libertà, Mondadori, 2002, pp 3-9.

LE PROTESTE ANTI-GLOBALIZZAZIONE NON RIGUARDANO LA GLOBALIZZAZIONE
Gli aderenti al cosiddetto movimento anti-globalizzazione non possono essere contro la globalizzazione, poichè queste proteste sono di fatto uno degli eventi più globalizzati del mondo contemporaneo.

LA GLOBALIZZAZIONE NON E' UN FATTO NUOVO E NON PUO' ESSERE RIDOTTA A OCCIDENTALIZZAZIONE
Per migliaia di anni la globalizzazione ha contribuito - con un flusso dapprima da Oriente verso l'Europa e successivamente dall'Occidente verso Oriente - al progresso del mondo attraverso i viaggi, il commercio, le migrazioni, la diffusione delle culture, la disseminazione del sapere e della conoscenza reciproca.

LA GLOBALIZZAZIONE DI PER SE NON E' UNA FOLLIA
La globalizzazione ha arricchito il mondo dal punto di vista scientifico e culturale, così come ha recato benefici economici a molti popoli. Quello di cui c'è bisogno è una distribuzione più equa dei frutti della globalizzazione.

IL TEMA CENTRALE E' LA DISUGUAGLIANZA

La sfida principale ha a che fare con la disuguaglianza sia tra le nazioni sia nelle nazioni: la divisione tra Paesi ricchi e Paesi poveri o tra differenti gruppi di un Paese, dei guadagni generati dalla globalizzazione.

LA PREOCCUPAZIONE PRINCIPALE E' LA DISUGUAGLIANZA, NON LA SUA VARIAZIONE AGLI ESTREMI
Quando affermano che i ricchi stanno diventando sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, i critici della globalizzazione scelgono il terreno di scontro sbagliato.
 

LA QUESTIONE NON E' SE TUTTE LE PARTI GUADAGNINO QUALCOSA, MA SE LA DISTRIBUZIONE SIA EQUA
Il tema centrale non è se un particolare risultato comune sia per tutti migliore ma se si traduca in una divisione equa dei benefici.

  
IL RICORSO ALL'ECONOMIA DI MERCATO E' COLLEGATO A CONDIZIONI ISTITUZIONALI DIVERSE ED EFFETTI DIFFERENTI
La prosperità economia non è possibile senza un ampio ricorso ai mercati. Tuttavia, è bene tenere a mente che il mercato è un'istituzione fra tante e che può produrre risultati molto diversi a seconda della distribuzione delle risorse materiali, dello sviluppo di quelle umane, delle regole impiegate sia all'interno di un Paese sia a livello mondiale.
 

IL MONDO E' CAMBIATO DAGLI ACCORDI DI BRETTON WOODS
L'architettura economica, finanziaria e politica mondiale che abbiamo ereditato dal passato (Banca Mondiale, FMI e altre istituzioni create negli anni Quaranta) non teneva in considerazione la forza delle ONG, l'ambiente non godeva di una particolare attenzione, la democrazia non veniva concepita come un diritto globale.
 

SONO NECESSARI CAMBIAMENTI DELLE POLITICHE E DELLE ISTITUZIONI
Il balance of power, che riflette ancora lo status quo degli anni Quaranta, deve essere riesaminato.
 

LA RISPOSTA AI DUBBI GLOBALI E' LA COSTRUZIONE GLOBALE
Non esiste una via d'uscita, né buone ragioni per cercarla, dal generale processo di globalizzazione. Benché vi siano sufficienti motivi per sostenere la globalizzazione, è necessario al contempo affrontare i temi etici e pratici che ne derivano.

lunedì 9 dicembre 2013

The globalization of Italian footbal














Italy is witnessing a revival in the globalization of one its most cherished treasures, football.

Erick Thohir, a charismatic Indonesian businessman, recently purchased a 70% stake in the Italian football team Inter Milan, with the intention of making it more global, and the Chinese businessman Wang Jianlin is evaluating the possible purchase of the Italian Roma F.C.

“We've already laid good foundations for the next two to three years," Inter Milan new president said. "But Inter have got to be prepared for 2016 when the Champions League final will be held in Milan”.

Soccer is loved and played all over the world, from the backstreets of the favelas of Brazil to the lush green stadiums of Germany. It unites countries during the World Cup and brings strangers together in conversation. Players are traded from team to team and country to country, and managers are transnational. There are Arsenal fans in California, and Barcelona fans in Australia. Soccer is truly global.

As Forbes' Agustino Fontevecchia writes, “it has become increasingly clear that the old power structures of the world are crumbling, in many cases being overthrown. And soccer, the world’s most popular sport, is providing clear evidence of the relentlessness of globalization”.

English Premier League teams, especially, have a global fan base. Players are treated like rock stars when they land in cities like Hanoi, Bangkok, and Kuala Lumpur, as viewing rights are strategically sold to Asian television networks long before their arrival.

There is still however a largely untapped fan base to be had in Asia and across the world, and smart movers are getting in on the game.

“Thohir, who also has a hand in the NBA’s Philadelphia 76ers and MLS team D.C. United" – writes Fontevecchia - "will become the latest owner of a major European soccer club from a so-called emerging market, as Inter joins teams like Chelsea, Manchester City, Paris Saint Germain, and AS Monaco, among others".

There is huge unlocked potential for Italian football, which was very popular abroad throughout the Eighties, but then was overtaken in importance by the English and Spanish leagues.

This new wave of globalization will create a larger and more international following across the world for Italian teams. This could eventually provoke a positive effect in how Italy is perceived globally, and may even lead to increased foreign investment more generally.

This is good news for the country, as it currently lags behind its European competitors in foreign investment attractiveness. According to the OECD, foreign direct investment in Italy totalled just $16 billion in 2012, compared with $25 billion in France and $62 billion in the UK. But as Reuters notes, “investors have started tiptoeing back into the euro-zone's third-largest economy after a dry spell” -- companies from General Electric to Russia's Rosneft.

All things considered, "calcio", as Italians call football, might provide the perfect pathway for Italy's deeper integration into globalization's architecture.

Article previously published by Asian Century Institute

venerdì 6 dicembre 2013

L'importanza del WC

World Toilet Day, 19 November












IL WC PUO' essere considerato un lusso? Si, se consideriamo che di questo oggetto così comune per noi occidentali in realtà ne è sprovvisto un terzo della popolazione mondiale: circa 2,5 miliardi  (ripeto, mi-liar-di) di persone, concentrate soprattutto in Asia e nell'Africa Sub-Sahariana.

A ricordarcelo è l'ONU con la campagna di sensibilizzazione a favore proprio dell'importanza del WC attraverso l'istituzione del World Toilet Day, istituito quest'anno per la prima volta il 19 novembre.

Ma soprattutto, ce lo ricorda la World Toilet Organization, l'organizzazione non governativa che si promuove il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e la diffusione dei WC nel mondo. Il suo motto è "il WC è più importante di quello che pensi".

Il non avere accesso ad un sistema di pulizia igienica adeguato comporta la trasmissione e diffusione di molteplici malattie, di cui vittime cadono soprattutto i bambini. Pensate che le malattie diarroiche sono la seconda causa più frequente di morte tra i più piccoli nei Paesi in via di Sviluppo. La diarrea è un killer più letale di AIDS, malaria e morbillo messe insieme.

Inoltre, vi è una correlazione diretta tra la presenza scolastica di bambine e ragazze ed il possesso di un WC in casa, così come si stima che per ogni dollaro speso nel miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie vi sia un ritorno di 8 dollari in termini di aumento della produttività, riduzione di tempo e costi sanitari.

Dal Sudan al Vietnam, dalla Cambogia al Sudafrica, per "modernizzazione" si intende non (primariamente) migliorare la qualità della connessione internet o costruire un treno ad alta velocità, bensì fruire di acqua potabile e sanitari nelle proprie abitazioni. E' bene ricordarselo sia sotto il profilo squisitamente umanitario, ma anche a livello economico-commerciale: queste necessità primarie sono infatti una opportunità significativa per le imprese del made in Italy dei settori coinvolti.


Approfondimenti:
http://worldtoiletday.org/
http://worldtoilet.org/ 


Articolo precedentemente pubblicato da International Business Times nel blog Going Global

lunedì 2 dicembre 2013

Il giro del mondo con Joe Stiglitz

Per capire come la globalizzazione funziona è necessario leggere e informarsi per riuscire a interpretare la realtà che ci circonda nella maniera più completa possibile. Il premio Nobel per l'economia Joe Stiglitz rappresenta una delle voci più competenti e al tempo stesso libere, e quindi autevoli e credibili, che raccontano l'avanzamento del processo globalizzante. 

Per questo condividiamo qui di seguito il trailer del viaggio del mondo - dall'Equador al Botwana - che l'economista ha intrapreso alcuni anni fa e che ha poi reso nella forma di un documentario divulgativo sugli effetti negativi e positivi che la globalizzazione produce. Il messaggio: la globalizzazione non è né buona né cattiva, dipende da come viene gestita.

 Around the world with Mr Stiglitz


Per approfondimenti

J. Stiglitz, Globalizzazione, Donzelli, 2011