venerdì 27 dicembre 2013

L'utilità del G8

Il G8 Summit di L'Aquila, luglio 2009


















POCHI GIORNI FA a Londra si è riunito il G8 per affrontare il tema della demenza, una malattia che colpisce 44 milioni di persone nel mondo, destinate a raddoppiare ogni vent'anni. Gli 8 Paesi hanno concordato una strategia di azione comune punti riportata nel comunicato finale. Tra gli impegni presi vi è l'identificazione di una cura entro il 2025 che modifichi in maniera sostanziale il decorso della malattia.

Ora, questo vertice offre l'occasione per dibattere il tema della utilità o meno del G8. Quante volte abbiamo visto impegni presi poi non essere mantenuti? Quanti summit, incontri, quante strette di mano e foto di gruppo che appaiono nella sostanza inconcludenti?

Ricordiamoci di quanto innaturale sia, sotto il profilo delle relazioni internazionali, il periodo storico nel quale stiamo vivendo - soprattutto in Europa. La normalità, fino alla Seconda guerra mondiale, è stata la guerra. I rapporti tra gli Stati - all'epoca una sessantina - subivano frequenti altalene diplomatiche, le quali lasciavano ben poco spazio alle ragioni della pace.

Tra le due guerre si parlò di stagione della "sicurezza collettiva" quando la quasi totalità degli Stati ratificò il Trattato di Rinuncia alla Guerra, firmato a Parigi nel 1928. Una pace effimera, una illusione collettiva. Ma l'eccezionalità della pace, in un continente abituato alla guerra, si nota dal Premio Nobel per la Pace conferito ai Ministri degli Esteri di Francia e Stati Uniti, promotori del trattato: Aristide Briand e Frank B. Kellogg. Oggi, i 28 Stati membri dell'Unione Europea l'hanno raggiunta davvero la pace. Come? Attraverso il dialogo, grazie anche al G8.

Se il Gruppo degli 8 Paesi più industrializzati del mondo può risultare, a ragione, non rappresentativo degli equilibri di potere in fieri all’interno della odierna Comunità internazionale, diviene comunque adatto a produrre il dialogo, la benzina più importante per il corretto svolgimento delle relazioni internazionali. Non scordiamoci che è grazie alla ricerca del dialogo che nel 1957 sorsero le Comunità Europee; nel 1962 Kennedy e Kruchev evitarono una possibile terza guerra mondiale; Egitto ed Israele firmarono il Trattato di pace nel 1979; la Germania pervenne all'Unificazione nel 1990.

Che il G8 abbia perso il suo spirito informale e produca spesso risultati al di sotto delle aspettative è fuori dubbio. Ma queste due verità sono in parte spiegabili dalla globalizzazione del circuito mediatico. L'attenzione globale dei media ha infatti spinto i summit multilaterali verso un carattere sempre più formale, provocando l'irrigidimento delle posizioni negoziali di ognuna delle parti seduta al tavolo. Più l'incontro risalta sotto la luce dei riflettori, più i singoli Stati faticano a negoziare in maniera distesa. Non il summit stesso, bensì le opinioni pubbliche rischiano così di diventare l'oggetto delle preoccupazioni dei Capi di Stato, a tutto detrimento dei risultati finali del vertice. L'efficacia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, massimo organo politico a livello globale, viene garantita dal grado di riservatezza che serbano le sue riunioni di carattere non procedurale.

Il G8, il G20, l'ONU, l'Unione Europea stessa e gli altri fori multilaterali svolgono una funzione di importanza capitale: mantenere aperte le porte del dialogo. Non è scontato che gli Stati preferiscano la collaborazione alla aggressione; la ricerca del consenso alla corsa agli armamenti, la consultazione alla imposizione unilaterale. La Storia d'Europa è lì a dimostrarlo. Al G8, così come al G20, Stati storicamente divisi, Francia e Germania, Stati Uniti e Russia, Cina e Giappone siedono al medesimo tavolo ricercando soluzioni comuni a problemi comuni.

Approfondimenti


Comunicato finale G8 London

Articolo precedentemente pubblicato da International Business Times nel blog Going Global

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